"
Per quanto un uomo possa battersi, la conoscenza non sarà mai perfetta finché paure e preoccupazioni offuscheranno la sua mente. Finché la confusione toglie pace alla sua mente, la sua conoscenza non esalerà il profumo della felicità" Buddha
|
Bhutan: il Tempio di Kyichu Lhakhang |
Adoro viaggiare, mi piace a tal punto che il solo pensiero mi rende euforico ancor prima di partire, quando l'itinerario è ancora solo un'embrione nella mia testa. A volte diventa realtà, a volte rimane solo una fantasia ma poco importa perché anche viaggiare con la mente può essere un piacere intenso. Naturalmente i sensi ci aiutano a farlo, basta gustare un sapore diverso o ascoltare una musica particolare per farsi trasportare altrove.
Anche un profumo suggestivo ha questo potere e di sicuro sa come esercitarlo
Bertrand Duchaufour, uno dei profumieri che più stimo proprio per questa sua capacità impressionista di tratteggiare uno spazio con pochi dettagli olfattivi, sia che siano piante, palazzi o condizioni atmosferiche. E lui infatti che nel 2006 compone per l'
Artisan Parfumeur il terzo profumo della serie dedicata ai viaggi (dopo
Bois Farine e
Timbuktu), per me uno dei capolavori degli ultimi cinque anni,
Dzongkha.
Questo nome dal suono che pare quasi un'esclamazione deriva dal Tibetano antico ed è la lingua parlata negli
Dzongk, monasteri buddisti fortificati tra le montagne del Buthan. Ho trovato geniale questa scelta invece di altri mille nomi che potevano evocare paesaggi lontani e luoghi misteriosi. Non a caso un profumo ha molte caratteristiche in comune col linguaggio: invisibile come il suono della parola, entra dentro di noi e ci fa vibrare e come una lingua rivela il carattere di un popolo così il profumo dovrebbe rivelare il carattere di chi lo indossa.
Certamente dominato dai legni, è comunque difficile inquadrare Dzongkha in una precisa famiglia olfattiva perché è un profumo complesso: racconta di ampie e silenziose vallate, di boschi dopo la pioggia, di templi, di riti e di unguenti ma anche di spazi interiori e di silenzi. Eppure prima ancora di tutte queste suggestioni a rapire i miei sensi è stata la summa di alcune note tra quelle che amo di più. C'è la peonia con la sua freschezza rugiadosa, quasi liquida e medicinale, poi un accenno fruttato nascosto lungo tutta la fragranza ma non ha nulla a che vedere col litchee sfacciatamente zuccherino riportato in piramide, piuttosto la linfa succosa di un legno esotico. Ancora c'è il cedro, maestoso ed asciutto, il cuoio vivido e fresco di concia col suo tocco ruvido, il verdeggiare di foreste secolari molli di pioggia e infine un tripudio di iris terroso, distante e meditativo, quasi impietrito da vetiver e papiro.
|
Mandala buthanese (XIX secolo) |
La piramide ufficiale riporta note di peonia, litchee e cardamomo in testa, spezie, the Chai, vetiver, incenso e cedro nel cuore e infine cuoio, iris e papiro indiano nel fondo. Se da un lato si notano immediati i rimandi a lavori precedenti di Duchaufour quali Timbuktu e
Paestum Rose per
Eau d'Italie, quel che risulta è originale, con ottima tenuta e buona diffusività ma non denso e perfino dopo l'apertura stravagante e pungente di di spezie fredde ad evocare l'aria rarefatta del Tibet rimane luminoso anche nei toni lattei del the chai che rendono il cuore della fragranza confortante infondendole quiete.
Duchaufour riesce ad incastonare con precisione tutti i colori della tavolozza in un particolare mandala, tanto materico quanto effimero, per poi avvolgerlo con un sottile filo di incenso che impregna la fragranza di misticismo e la sospende nel tempo, trasportandomi in un luogo primordiale del se dove tacciono i pensieri al ritmo lento del respiro.