29 giugno 2011

Cologne 1871: Astier de Villatte per Commune de Paris

Finalmente è arrivata l'estate di lunge giornate e calura e con essa anche l'oramai consueta carrellata di eau fraîche, cologne e flanker estivi della profumeria commerciale che puntualmente al mattino risenti addosso a tutti in metropolitana, uno uguale all'altro, uno più detersivo dell'altro.
Così, io che tipicamente amo le fragranze decisamente più sontuose, ogni anno rimango sempre spiazzato su cosa indossare.  Nessun problema se la sera mi concedo effluvi densi che acquistano ancora più malìa col caldo ma di giorno la scelta è ardua. Ci vorrebbe una bella colonia ma come coniugare leggerezza e profondità?
Negli ultimi anni poi nella profumeria commerciale e non, c'è stato un rilancio dell'acqua di colonia, modo di profumarsi associato ad una ritualità così antica ma così sconosciuta alle giovani generazioni di consumatori da poter essere riproposta dal marketing come moderno gesto di benessere. Fortunatamente fra mille proproste si trova anche qualcosa di interessante.

Cologne 1871: Astier de Villatte for Commune de Paris

Finally summer has come with its long days and the heat and together with it also the usual roundup of eau fraîche, cologne and summer flankers of mass market fragrances that every morning unfailingly you smell everywhere in the tube, one equal to the other, one more detersive than the other.
So, since I typically like more sumptuous fragrances, every year I'm always wrongfooted by what to wear.  No problem whether at evening I indulge myself with dense smells that become even more bewitching in the heat, but during the day it's hard to pick one. I'd need a good cologne but how to couple lightness with depth?
During the last years afterwards in the mass market perfumery and not only, there has been a relaunch of colognes, a way to scent themselves associated to such an ancient ritual and thus unknown by the new generations of customers that can be reproposed by marketers as a wellness modern gesture. Fortunately there's also something interesting among thousand offers.

23 giugno 2011

Chamade: il coraggio di amare

Pubblicità di Chamade (Nikasinovitch - anni '70)
Ci vuole coraggio per vivere un amore. Occorre un po' d'incoscienza e la leggerezza di un cuore semplice che però abbia il potere di sgretolare tutte le barriere che mettiamo davanti a noi stessi, le aspettative della famiglia e le convenzioni sociali.
Sentendolo si intuisce che è proprio quella semplicità ribelle, quella leggerezza che Jean-Paul Guerlain deve avere avuto in mente creando Chamade, un orientale-fruttato moderno che prende il nome e l'ispirazione da un racconto di Françoise Sagan del 1965 dal titolo omonimo.

"La Chamade", termine con cui in epoca napoleonica si indicava il tamburo che batteva ritirata, narra della storia di una donna combattuta tra gli agi della vita borghese con un uomo maturo e benestante e il sentimento vero e profondo per il suo vero amore, un semplice artista spiantato che l'ama per quello che è e non per quello che rappresenta.

Chamade: the heart to love

Chamade ad from the '70s (Nikasinovitch)
One must be brave to live a love story. A little bit of inconsciousness is needed and the lightness of a simple heart having the power to shatter all the barriers we put behind ourselves, our family expectations and social conventions.
Smelling it you can guess it's just that rebel simplicity, that lightness that Jean-Paul Guerlain must have had in mind creating Chamade, a modern fruity-oriental perfume inspired and named after a 1965's nover by Françoise Sagan with the same title.

"La Chamade", term used during the napoleonic age to indicate the drum used to call back the host, is about a woman torn among the comforts of the bourgeois life with an older and well-to-do man and the real deep feeling for her true love, a simple penniless artist that loves her for who she is an not for what she represents.

14 giugno 2011

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Da questa settimana La Gardenia nell'Occhiello sbarca sul social network più diffuso al mondo, Facebook, per essere ancora più in contatto col web profumato, per tenervi aggiornati sui nuovi post e sugli eventi legati al mondo del profumo e della cultura olfattiva. Eccovi il link.

Since this week La Gardenia nell'Occhiello lands on the biggest social network of the world, Facebook, to be more and more connected with the scented web, to keep you updated on new posts and events related to perfume and olfactory culture. Here is the link.

7 giugno 2011

Les Nombres d'Or (2): Vanille e Oud

Solitamente non amo granché la vaniglia nei profumi. La cosa è curiosa perché da appassionato di cucina quale sono e da goloso anche di dolci, si potrebbe pensare il contrario. Eppure questa spezia si usa proprio per profumare i dessert, per donar loro quella sfumatura particolare ed avvolgente che sin dalla cottura si spande poi in tutto l'ambiente circostante li rende ancor più invitanti. Tuttavia mi piace tanto da gustare quanto poco la sopporto in dosi preponderanti in un profumo. La trovo spesso un passepartout per colmare lacune creative e rendere un profumo piacione.
Per fortuna non è sempre così e a volte si trova chi come Mona di Orio ha il coraggio di uscire dalla strada più battuta per tentare percorsi più avventurosi e stimolanti. Ciò che colpisce di Vanille è che non si tratta di una vaniglia gourmand nel senso piu scontato e mangereccio, semmai in senso alcolico.

La fragranza trae infatti l'ispirazione da un'impressione di viaggio, come il fantasma di un vascello di ritorno dalle isole Comore col suo carico di spezie, le sue botti di rhum, arance e naturalmente i preziosi baccelli di vaniglia.
L'apertura con assoluta di rhum e una traccia di arancia amara riporta per un attimo ad un ottimo palloncino di Grand Marnier da sorseggiare. Allo stemperarsi della freschezza alcoolica si inizia a percepire un retrogusto con le sfumature fruttate di foglie e bucce d'agrume e la legnosità della barrique via via rinforzati dalla speziatura del chiodo di garofano. Quest'ultimo prepara la scena al vero protagonista, un'assoluta di vaniglia estratta al diossido di carbonio che ne conserva intatta la sensazione del baccello asciutto e croccante: la vaniglia si spoglia di ogni connotazione appiccicosa e si fa fiore, frutto, legno e spezia per raccontarci la sua evoluzione da fiore d'orchidea alla credenza della cucina. Il fondo del profumo è tutto in delicatezza per non soverchiare il tema portante della fragranza aggiungendo solo un contrappunto tostato di guaiaco che riprende le spezie asciutte e ancora legno di sandalo, balsamo di Tolù e note ambrate che gli conferiscono un tocco morbido e lievemente animale.

Mentre Vétyver, Tubéreuse e Vanille sono l'omaggio di Mona di Orio a temi classici della profumeria di tutti i tempi, quando l'ho rivista a Milano in occasione di Esxence 2011, mi ha sorpreso con la sua ultima inaspettata creazione, l'Oud, nata espressamente per soddsfare i suoi clienti mediorientali. L'oud, da sempre la più preziosa essenza d'oriente, solo recentemente è stata apprezzata dal gusto occidentale. Grazie anche a chi l'ha introdotta, naturale o sintetica, oramai un decennio fa sia in fragranze di nicchia che per il mass market (come non ricordare M7 di Yves Saint Laurent) di fatto ha avuto un tale successo da poterla definire oramai un nuovo classico della profumeria. L'oud naturale, oltre ad avere un aroma penetrante e viscerale, ha un processo di maturazione lunghissimo che richiede decenni e ne determina il costo iperbolico. Quindi quando Mona ha chiesto al suo fornitore di materie prime di procurarle dell'oud di buona qualità, non mi sono meravigliato di sentirle dire che gliene avesse portato una piccola fiala il cui costo sfiorava i 18.000 dollari.
Mi racconta anche che un'altra nota con cui avrebbe sempre voluto lavorare ma che poi alla fine non è mai riuscita a utilizzare perché non adatta all'architettura olfattiva delle sue composizioni era l'osmanthus, un fiore molto particolare originario della Cina. L'assoluta di osmanthus, io ho la fortuna di possederne un assaggio, è ipnotico,  è qualcosa da morirci dietro e solo lontanamente ricorda un fiore, anzi le sfumature preponderanti sono quelle fruttate, cuoiate e quasi animali ma come avvolte in un velluto di sconvolgente morbidezza. Meditando sull'intenso oud è nata finalmente l'opportunità di unirli in una nuova magnetica alchimia. La fragranza che ne risulta è complessa, asciutta ma pastosa, dominata dall'equilibrio tra i due protagonisti e i loro multiformi aspetti.

L'apertura è fresca di mandarino e petitgrain che alludono all'aspetto verde e più aereo dell'oud, subito incalzati dalla voce balsamica del pepe. La fragranza si fa più calda mostrando il lato floreale dell'osmanthus, ma è solo un volo che plana sul velluto d'albicocca che riveste un albero millenario e selvaggio. La sua rotondità rivela il lato animale dell'osmanthus che abbraccia quello dell'oud, appena accennato. Questo nettare di legno infine è reso ancora più intossicante dall'opoponaco col la sua dolcezza medicinale unita alla resina di olibanum di Somalia a donare un tocco balsamico che ha fissato l'aroma per ore sulla mia pelle con una scia sensuale.
Come per i migliori Oud sarebbe interessante provare questa notevole fragranza in diluizione oleosa. Chissà che l'avventurosa Mona non ci stia già pensando.

Les Nombres d'Or (2): Vanille and Oud

Usually I don't like that much vanilla in perfumes. The funny thing is I'm passionate about cooking and also greedy about cakes, so one could think the opposite. Yet this spice is used just to scent the desserts, to give them the particular and enveloping smell that, since you bake them fills all the surroundings making them even more inviting. Nevertheless the more I like to taste it, the less I can stand it in huge amounts in a perfume. I find it often a passepartout to fill greative gaps and make a scent an easy pleaser.
Fortunately things don't always go this way and sometimes there's someone like Mona di Orio taking risks and going out of the mainstream to try new adventurous and stimulating paths. What impresses about Vanille is that's not a gourmand vanilla in the most trite and edible way, if anything in an alcoolic way.

In fact the fragrance takes inspiration from the impression of a journey, like the ghost of a vessel coming back from Comoroes islands bringing his shipload of spices, barrels or rhum, oranges and, of course the precious vanilla beans.
The opening with rhum absolute and a trace of bitter orange feels for a while like sipping a good Grand Marnier balloon. As the liqueur freshness fades out I can detect a backtaste with the fruity tones of citrus leaves and peels and the woodyness of the barrel growing more and more empowered by the spiciness of clove. The latter prepares the scene to the real main character, carbon dioxide extracted vanilla absolute that fully preserves the sensation of the dry and crisp bean: vanilla takes off every sticky aspect to become flower, fruit, wood and spice revealing us its evolution from the orchid flower straight to the kitchen dresser. The base of the perfume is all about delicacy not to overwhelm the leading theme of the fragrance and just adding a toasted counterpoint of guaiacwood recalling the dry spices and also sandalwood, Tolu balm and ambery notes conferring it a soft and slightly animalic touch.

While Vétyver, Tubéreuse and Vanille are Mona di Orio's hommage to everytime's classic themes in perfumery, when I met her again in Milan during Esxence 2011 she surprised me showing her last unexpected creation, the Oud expressly born to satisfy her middle-eastern customers. Oud since ever has been East's most precious essence but only lately has been appreciated by the western taste. Thanks also to who introduced it (natural or synthetic) about ten years ago in both niche and mass market fragrances (how not to mention Yves Saint Laurent M7) as a matter of fact its success has been so huge to count it among the new classics of perfumery. Natural Oud, aside having a pervasive and visceral aroma has also a very long maturation process of decades that brings about its hyperbolic cost. So when Mona asked her raw materials supplier to find her some good quality oud it's no surprise to hear he brought her a small vial of it which cost reached 18.000 dollars. 
She adds also that another note she would always have been working with but she never happened to do because it didn't suit her compositions till now is Osmanthus, a very particular flower originary from China. Osmanthus absolute, I'm lucky to have a tiny bit of if, is ipnotic, something to die for and only by far recalls a flower but the main facets are fruity, leathery and almost animalic like wrapped in a mesmerizingly soft velvet. Working on the intense oud finally bred the chance for both of them to marry into a hot magnetic alchemy. The resulting fragrance is complex, dry yet mellow, ruled by the balance of the two main components with their multiform aspects.

The opening is fresh with tangerine and petitgrain alluding to the greed and more aerial side of oud closely followed by the balsamic voice of pepper. The fragrance then gets warmer showing the floral osmanthus, but it's just a flight landing on apricot velvet lining a savage, millenary tree. Its roundness discloses the the animalic side of osmanthus embracing the one of the oud only hinted. This wood nectar is finally made more intoxicating by opoponax with its slighty medicinal sweetness coupled with somalian olibanum resin adding a balsamic touch that fixed the juice for hours on my skin with a sensual sillage.
Like for the best ouds, it'd be interesting to try this noteworthy fragrance in oil. Who knows if the adventurous Mona hasn't yet thought about it.
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