14 agosto 2018

Gattopardo di Antonio Alessandria (2017)

"Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee" Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Fra I legni il patchouli è certo il più esuberante, e questo carattere ruggente si odia o si ama proprio come accade con i grandi uomini. Fra le nuove proposte sentite a Firenze durante Pitti Fragranze (finalmente disponibile), quella che ha fatto irrimediabilmente perdere la testa agli amanti del patchouli come me è Gattopardo, l’ultima creazione di Antonio Alessandria che ci porta nuovamente nella sua amata Sicilia, stavolta a passo di danza.

Il ritmo è quello del celebre valzer brillante di Verdi che Nino Rota volle per la pellicola di Luchino Visconti. L’incedere ed il ruggito sono quelli del leonino Principe di Salina che regge al suo braccio la bella Angelica, luminosa come le zagare fra i suoi capelli. Vedendo volteggiare Claudia Cardinale e Burt Lancaster chi non si è innamorato perdutamente di Palermo? Chi non ha sognato per un attimo di tornare al 1860 fra gli ospiti al gran ballo nei fastosi saloni di Palazzo Valguarnera-Gangi, vestigia di un glorioso passato?


Villa Boscogrande a Palermo
Appena vaporizzato, Gattopardo ci da subito il benvenuto con un bicchierino di rum all’ombra dei fragranti giardini di Donnafugata, nell’agrumeto o sotto al fico che confonde la sua linfa mediterranea con l’aroma decadente e raffinato dei gerani. L’inebriante freschezza argentea ci invita a salire le scalinate sino all’androne della villa nobiliare, preannunciando l’eleganza impassibile del Principe di Salina, patriarca tanto ruvido quanto affascinante come il patchouli che ora si fa protagonista assoluto. Tutti gli occhi sono su di lui, mentre l’eco dei passi, i bisbigli e le sete fruscianti sono interrotti solo dall’orchestra che accorda gli strumenti.


Poi incalza il valzer e le coppie volteggiano fra gli sguardi di gran dame col ventaglio, cavalieri in guanti bianchi e mille candele. Come Don Fabrizio fresco di toeletta, anche il legno riveste la sua virilità di un abito setoso di cera d’api. Si dice Visconti pretendesse ad ogni ripresa che le migliaia di candele sul set fossero tutte rinnovate per regalare alla scena il calore della luce naturale. Qui si percepisce tutta la regalità mielata di questo oro che inonda di bagliori l’iris, velo prezioso a impallidire le gote e i decolleté, che fluttua ad ogni passo come l’abito di Angelica disegnato da Piero Tosi.

Sul finale il banchetto è servito: fra pizzi e porcellane finissime le delizie della tavola sicula affiorano nel fondo. Ciò che rimane sulla pelle per molte ore è un abbraccio sontuoso e nostalgico che dietro la fermezza del legno di cedro svela la gentilezza d’animo del principe e l’amore per la tradizione con la dolcezza della pasta di mandorle. Non manca nemmeno la seduzione "esotica" e croccante delle praline di nocciole con una spolverata di cacao amaro, frutto dell’incontro fra la Sicilia e le tante culture che l’hanno attraversata qui distillate in una recherce du temps perdu all’essenza dell’eleganza italiana più autentica e nobile.


Note di testa: bergamotto, latte di fico, accordo di whisky
Note di cuore: geranio, iris, patchouli
Note di fondo: benzoino, nocciola, mandorla, polvere di cacao, cera d’api, legno di cedro, note muschiate e ambrate


Questa recensione è stata pubblicata in origine sul blog di Studio Olfattivo

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